Il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA), l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada entrato in vigore provvisoriamente nel 2017, rappresenta una delle più ambiziose intese commerciali bilaterali degli ultimi decenni. A quasi otto anni dalla sua attuazione, il suo impatto sul settore agroalimentare europeo e italiano è oggetto di dibattito, tra vantaggi tangibili, nuove paure e tensioni legate alla competizione globale. Vediamo quindi i pro, i contro, e tutto quello che sta nel mezzo di un accordo non ancora ratificato in Italia.
I pro: un ponte commerciale con vantaggi strutturali
Il CETA ha eliminato il 98% dei dazi doganali tra UE e Canada, facilitando gli scambi bilaterali. Secondo i dati della Commissione Europea, gli scambi agroalimentari sono cresciuti del 31% in cinque anni, raggiungendo i 60 miliardi di euro nel 2021. Per l’Italia in particolare, l’export verso il Canada è aumentato del 36,3%, con picchi dell’80% nell’ortofrutta trasformata e del 24% nel settore bevande e alcolici. Prodotti come il Parmigiano Reggiano hanno beneficiato della protezione delle 41 indicazioni geografiche (IG) riconosciute dal CETA, che coprono il 90% del fatturato annuo delle esportazioni italiane di prodotti a denominazione d’origine.
L’accordo ha inoltre favorito gli investimenti: tra il 2018 e il 2021, i flussi diretti italiani in Canada sono quintuplicati, passando da una media annua di 153 milioni a 500 milioni di euro. Questi numeri riflettono un’apertura che, secondo Confagricoltura, ha permesso alle aziende di competere su scala globale, contrastando il protezionismo di altri mercati.
Le criticità: tensioni sui contingenti tariffari e squilibri
Nonostante i benefici, il CETA non è esente da criticità. Uno dei nodi principali riguarda i contingenti tariffari (TRQ), strumenti che regolano l’accesso preferenziale a quote di prodotti senza dazi. Il Canada ha contestato il sistema europeo di gestione dei TRQ per carne bovina e suina, ritenendolo non conforme agli obblighi del CETA. L’UE, dal canto suo, ha criticato la gestione canadese dei TRQ per i formaggi, sottolineando come il meccanismo di allocazione basato sulla quota di mercato penalizzi i nuovi operatori.
3. La paura della competizione e il dualismo italiano
Il dibattito sul CETA in Italia riflette un dualismo tra chi vede nell’accordo un’opportunità e chi lo percepisce come una minaccia. Da un lato, Confagricoltura celebra i risultati: il Parmigiano Reggiano ha registrato un +6,3% delle esportazioni verso il Canada nel 2022, e il comparto agroalimentare italiano ha consolidato la sua presenza in un mercato ad alto reddito. Dall’altro, organizzazioni come Coldiretti hanno storicamente osteggiato il CETA, temendo un’invasione di prodotti canadesi a basso costo e standard qualitativi differenti.
4. Sfide regolatorie e sostenibilità
Un altro fronte critico è quello degli standard produttivi. Il CETA prevede il reciproco riconoscimento delle normative sanitarie e fitosanitarie, ma divergenze persistono. Il Canada ha espresso preoccupazioni per l’approccio europeo alla regolamentazione dei pesticidi, basato sul principio di precauzione, che rischia di limitare l’accesso al mercato UE a prodotti canadesi trattati con sostanze non autorizzate in Europa. Allo stesso tempo, l’UE ha criticato l’uso canadese di antibiotici negli allevamenti, temendo ripercussioni sulla resistenza antimicrobica.
5. Il nodo della ratifica e il futuro del CETA
A oggi, l’Italia è tra i Paesi UE che non hanno ancora ratificato il CETA, insieme a Francia, Belgio e altri. La piena entrata in vigore dell’accordo dipende da questo passaggio, necessario per attivare meccanismi avanzati come la tutela degli investimenti e il capitolo sullo sviluppo sostenibile. Il governo italiano ha recentemente espresso apertura alla ratifica, definendo il CETA uno strumento pragmatico per competere a livello globale.
E quindi? Un equilibrio delicato tra innovazione e protezionismo
Il CETA incarna il paradosso della globalizzazione: da un lato offre opportunità di crescita e diversificazione, dall’altro espone il settore agroalimentare a rischi di marginalizzazione per chi non riesce a competere. Per l’Italia, la sfida è bilanciare la valorizzazione delle eccellenze DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IG (Indicazione Geografica) con la necessità di innovare processi produttivi e logistici.
La formazione gioca un ruolo chiave: istituti come l’ITS Agroalimentare preparano professionisti in tecnologie avanzate e sostenibilità, elementi essenziali per competere in mercati sempre più dinamici. Allo stesso tempo, il dialogo tra istituzioni, agricoltori e industria sarà cruciale per mitigare le paure e trasformare il CETA da strumento controverso a leva per una crescita equa e resiliente.
In un mondo segnato da guerre commerciali e crisi climatiche, accordi come il CETA non sono la soluzione definitiva, ma una prova di come cooperazione e competizione possano coesistere, a patto che gli interessi dei piccoli produttori e la qualità del Made in Europe rimangano al centro delle politiche commerciali.