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Corporation VS clima: il nuovo rapporto

In occasione del World Economic Forum, Fairwatch, Terra! e Cospe, nell’ambito della Campagna StopTTIP/CETA e dell’iniziativa europea Stop ISDS, lanciano un nuovo rapporto

Così le compagnie fossili denunciano gli Stati per bloccare la transizione ecologica

I dati raccolti dalle tre organizzazioni tracciano un quadro allarmante: cresce il numero delle imprese inquinanti che fanno causa ai governi contro le norme sul clima e l’ambiente. Teatro di queste controversie sono le corti arbitrali, dove regnano l’opacità e il conflitto di interessi. Nel 2020 le cause in tutto il mondo supereranno quota 1000.

In occasione del World Economic Forum di Davos, Fairwatch, Terra! e Cospe lanciano “Processo al futuro”, un nuovo rapporto di denuncia che rivela la strategia delle compagnie fossili per bloccare o rallentare la transizione ecologica. Sempre più spesso, infatti, le grandi imprese attaccano la legislazione ambientale tramite l’arbitrato internazionale, un sistema di corti sovranazionali non trasparenti a disposizione del settore privato. Grazie a questo vero e proprio sistema giudiziario parallelo, le aziende possono chiedere compensazioni miliardarie agli Stati che promuovono leggi lesive dei loro profitti, anche se queste politiche vanno in direzione dell’interesse pubblico o della lotta al cambiamento climatico. In un processo senza giuria né pubblico, davanti a tre avvocati commerciali, i governi devono difendere moratorie sulle trivellazioni, piani di uscita dal carbone o dall’energia nucleare. E spesso perdono la causa o sono spinti a patteggiare per evitare risarcimenti troppo onerosi. Ma spesso il patteggiamento comporta il ritiro delle proposte di legge o l’indebolimento dei piani climatici, con grave danno per i cittadini e l’ambiente.

“L’esistenza di questi tribunali semi-segreti è possibile grazie a migliaia di accordi sul commercio e gli investimenti che gli Stati hanno firmato in questi anni – spiega Monica Di Sisto, vice presidente di Fairwatch e portavoce della Campagna Stop TTIP/CETA – Con questa nuova indagine vogliamo dimostrare che l’agenda commerciale italiana ed Europea oggi è incompatibile con il Green New Deal proposto nelle scorse settimane. Bisogna invertire le priorità fra business e i diritti umani, e i signori di Davos devono essere fermati”.

La clausola di protezione degli investitori (ISDS – Investor-to-State Dispute Settlement) è infatti un punto cardine della maggior parte dei 3 mila trattati commerciali in vigore fra due o più Paesi. Gli ultimi dati disponibili – anche se molte cause rimangono secretate – raccontano che le imprese l’hanno utilizzata 983 volte per trascinare alla sbarra governi “colpevoli” di proporre politiche sgradite. Un numero che nel 2020, stando ai trend attuali, supererà quasi certamente quota 1000. Ad oggi, sono 322 le cause ancora in attesa di sentenza. Delle 677 passate in giudicato, ben 430 hanno visto un successo totale o parziale delle aziende (191 risolte in favore dell’investitore, 139 chiuse con un patteggiamento), 230 hanno visto scagionare lo Stato, 73 sono state sospese e 14 chiuse senza l’attribuzione di un risarcimento. Nella gran parte dei casi, il Paese denunciato (l’ISDS è un sistema a senso unico, in base al quale uno Stato può solo comparire come imputato, mai nelle vesti dell’accusa) ha pagato almeno le spese legali, che mediamente ammontano a 8 milioni di euro ma possono lievitare fino a 30.

Organizzazioni della società civile e movimenti in tutto il mondo si oppongono all’ISDS perché, soprattutto negli ultimi venticinque anni, ha determinato un numero crescente di cause pretestuose, con imprese che hanno preso di mira leggi sulla tutela del lavoro, dei servizi pubblici e dell’ambiente.

“È proprio la legislazione ambientale a trovarsi oggi sotto attacco diretto delle multinazionali del fossile – aggiunge Francesco Panié, ricercatore dell’associazione Terra! tra gli autori del rapporto – Mentre l’Italia e l’Unione Europea si trovano a dover fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico, i giganti dell’inquinamento remano contro, usando i tribunali arbitrali come clava per bloccare o rallentare l’azione per il clima”.

In particolare, il Trattato sulla Carta dell’Energia è il più invocato dagli investitori per avviare contenziosi contro i governi: ben 128 cause arbitrali sono state mosse impugnando questo accordo. Il rapporto “Processo al futuro” elenca una serie di casi emblematici in cui diversi Paesi tra cui Italia, Francia, Olanda e Svezia sono stati bersaglio di richieste di risarcimento avanzate da compagnie energetiche dei settori di carbone, gas e petrolio. In particolare, l’Italia potrebbe trovarsi nel 2020 a dover pagare fino a 350 milioni di dollari alla Rokchopper, compagnia petrolifera britannica che nel 2017 ha fatto ricorso in arbitrato contro l’introduzione del divieto di trivellazioni entro le 12 miglia marine.

“Di fronte a questo scandalo l’Unione europea non sta facendo abbastanza – dichiara Alberto Zoratti, ricercatore del Cospe tra gli autori del rapporto – Invece di eliminare l’ISDS dai trattati sugli investimenti, sta negoziando a Vienna in questi giorni una proposta per trasformarlo in una Corte internazionale permanente che diventerebbe a tutti gli effetti un tribunale mondiale per le grandi imprese. Questo non è accettabile”.

Questo processo, che si svolge nell’ambito della Commissione ONU per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL), va in direzione opposta a quanto chiedono centinaia di esperti, organizzazioni e giuristi.

“Bisogna mettere fine al sistema dell’ISDS ed eliminarlo dagli accordi commerciali già conclusi – dichiara Nicoletta Dentico, di Society for International Development e tra gli autori del rapporto – Nel frattempo, l’Unione Europea deve lavorare per concludere un ambizioso trattato vincolante dell’ONU su imprese e diritti umani, che obblighi il settore privato a rispondere delle violazioni perpetrate lungo la filiera e aiuti le comunità colpite da attività impattanti ad ottenere giustizia. Finora Bruxelles ha usato due pesi e due misure, supportando strumenti come l’ISDS, che rafforzano il potere delle corporation, e contrastando l’accordo a difesa dei diritti e dell’ambiente. Senza un’inversione di priorità, la crisi ecologica e sociale non potrà che farsi più acuta”.

Trivelle e arbitrati, l’Italia non paga più se la causa coinvolge paesi UE

In questi giorni vediamo le compagnie dell’oil&gas minacciare arbitrati internazionali contro l’Italia per l’emendamento al Dl Semplificazioni che sospenderebbe per 18 mesi le ricerche. Il caso Rockhopper, tramite cui l’impresa britannica chiede 350 milioni di dollari di risarcimento in opache sedi arbitrali al nostro paese per averle vietato di trivellare entro le 12 miglia dalle coste abruzzesi, viene citato come simbolo da emulare. La Rockhopper stessa si mostra baldanzosa e fiduciosa di recuperare l’investimento che lo stato – anche se per ragioni ambientali – le ha fatto perdere.
Ma dal 15 gennaio scorso sono cambiate le cose, e nessun investitore con sede nell’Unione europea può più fare causa a un altro stato membro utilizzando la clausola arbitrale contenuta nei trattati commerciali e sugli investimenti.
Cosa è successo in quella data? Lo racconta un documento siglato da 15 stati europei, tra cui l’Italia con il suo ambasciatore Maurizio Massari. I firmatari richiamano la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE sul caso Achmea (6 marzo 2018), secondo cui l’arbitrato internazionale tra stati membri dell’UE è incompatibile con il diritto dell’Unione. Prendendo le mosse da quella sentenza, dichiarano che “tutti gli accordi internazionali conclusi dall’Unione, compreso il Trattato sulla Carta dell’energia, sono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’UE e devono pertanto essere compatibili con il Trattati”. In questo quadro, la clausola contenuta in tutti gli accordi bilaterali intraeuropei e nella Carta dell’energia viene definita “incompatibile con i Trattati e quindi dovrebbe essere disapplicata”.
Una simile presa di posizione metterà fine a circa 200 accordi commerciali tra paesi membri dell’UE ed eviterà le compensazioni agli investitori di quei paesi decise in sede di arbitrato internazionale.

“Con la presente dichiarazione – recita il testo del documento – gli Stati membri informano i tribunali di arbitrato sulle conseguenze giuridiche del caso Achmea, come esposto nella presente dichiarazione, in tutti i procedimenti di arbitrato intra-UE in corso presentati ai sensi di accordi bilaterali sugli investimenti tra Stati membri o nell’ambito della Carta dell’energia”. 
E proseguono invitando ai tribunali arbitrali a “mettere da parte questi premi o non farli rispettare data la mancanza di una valida motivazione”. In parole povere, l’Italia annuncia che non pagherà un centesimo alla Rockhopper, né a tutti gli altri investitori con sede negli stati membri che le hanno intentato cause arbitrali.

“Resta la contraddizione di tutti gli altri trattati commerciali, come il CETA o l’accordo UE-Singapore, in votazione al Parlamento europeo il prossimo 12 febbraio – spiega Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop TTIP/CETA – Per noi la compatibilità con il diritto dell’Unione è un fatto importante, ma siamo contrari a questi oscuri tribunali privati per molte altre ragioni. Per questo chiediamo con una petizione europea che il Parlamento bocci subito il CETA e che le clausole arbitrali vengano cancellate da tutti i trattati sul commercio e gli investimenti”.

Non è la prima volta che le multinazionali dell’oil&gas minacciano gli stati sventolando l’arma dell’arbitrato internazionale. Tra i diversi casi ricordiamo quello del Canada, con la moratoria sul fracking del 2011 contestata dalla statunitense Lone Pine Resources, che ha chiesto circa 120 milioni di dollari in compensazioni allo Stato ospitante per aver voluto proteggere le acque del fiume San Lorenzo da una potenziale contaminazione. Anche quella volta l’impresa ha utilizzato una clausola ISDS (Investor to State Dispute Settlement) contenuta nel NAFTA, il trattato sul commercio e gli investimenti tra USA, Canada e Messico. Queste clausole oscure consentono alle corporation di trascinare un governo sul banco degli imputati di un tribunale privato sovranazionale esposto a forti conflitti di interessi, chiedendo risarcimenti virtualmente illimitati per gli eventuali effetti negativi delle politiche pubbliche sui loro profitti. I tribunali ISDS sono presieduti da tre avvocati commerciali, che nei loro giudizi si basano solo sul diritto commerciale, tralasciando altre fonti del diritto internazionale, qualunque riferimento ai diritti umani, del lavoro o dell’ambiente. Dunque non è raro che da questi arbitrati lo stato esca con le ossa rotte e le tasche vuote. Come dimostra il rapporto “Diritti per le persone, regole per le multinazionali“, in tutto il mondo i governi hanno già dovuto sborsare 84 miliardi di dollari alle imprese in sede arbitrale. Il sistema è talmente lucroso che molti fondi finanziari hanno iniziato a pagare le spese legali delle aziende in cambio di una quota del premio finale. Nel 2020 gli analisti stimano un giro di “scommesse” da parte di soggetti finanziari sugli arbitrati da 2 miliardi di dollari.

Ma qualcosa si muove. In Europa centinaia di organizzazioni della società civile stanno promuovendo una petizione per mettere fine ai privilegi delle multinazionali e per l’istituzione di un trattato delle Nazioni Unite che vincoli le corporation al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. In pochissimi giorni sono state superate le 300 mila firme. L’ISDS deve essere cancellato in tutti i trattati commerciali e sugli investimenti, e i piani dell’UE di estenderlo e consolidarlo creando una corte permanente di arbitrato internazionale devono essere stracciati.

“Viste le conclusioni della Corte di Giustizia e la presa di posizione dei 15 paesi membri contro gli arbitrati – dichiara Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale ed estensore dei quesiti del referendum contro le trivellazioni in mare – l’Avvocatura dello stato ora faccia quello che tutti si aspettano da lei, e chieda la chiusura della assurda causa intentata dalla Rockhopper”.

Francesco Masi, portavoce del Coordinamento nazionale No Triv conclude: “Lo stop agli arbitrati è un punto dirimente della battaglia per i beni comuni e contro l’ingerenza delle imprese private, che porteremo in piazza il prossimo 23 marzo a Roma nella manifestazione per il clima e contro le grandi opere imposte e a forte impatto”.

Le multinazionali chiedono 35 miliardi agli Stati grazie alla Carta dell’Energia

ROMA, 13 giugno 2018 – L’associazione Fairwatch, nell’ambito della Campagna Stop TTIP/Stop CETA, lancia oggi in Italia il rapporto “Un trattato solo per governare tutto. L’espansione del trattato Carta dell’Energia rafforza le multinazionali nell’ostacolare la transizione verso un’energia pulita”, (curato da Corporate Europe Observatory e Transnational Institute), che rivela le gravi disfunzioni del Trattato sulla Carta dell’Energia (Energy Charter Treaty – ECT). Un accordo sottoscritto nel 1994 da 52 paesi e in vigore dal 1998, nato per favorire gli investimenti energetici e la transizione alle rinnovabili, ma utilizzato dalle imprese per fare causa agli stati che minacciano i loro profitti. Il trattato, infatti, prevede un sistema di risoluzione delle controversie tra investitore e stato (ISDS) che consente ai privati di chiedere compensazioni virtualmente illimitate contro politiche pubbliche sgradite, utilizzando corti sovranazionali presiedute da un’élite di arbitri commerciali, che intavolano udienze a porte chiuse i cui atti non sono trasparenti. Leggi il resto di questa voce

ONU, parla l’esperto: l’ISDS è contro i diritti umani, stop ai negoziati TTIP

Alfred De Zayas, consulente ONU per i diritti umani, presenta il suo quarto rapporto sulla promozione di un ordine internazionale equo e democratico, in cui sostiene l’abolizione dell’ISDS e chiede una moratoria su tutti i negoziati per accordi di libero scambio, TTIP compreso

ONU parla l’esperto l’ISDS è contro i diritti umani stop ai negoziati TTIP 2

Non ha contribuito allo sviluppo, anzi: ha minato le fondamenta dell’ordine internazionale, con impatti devastanti sui diritti umani. Il dispositivo ISDS, contenuto in centinaia di accordi di libero scambio siglati nell’ultimo quarto di secolo, ha responsabilità pesanti, e nemmeno la riforma proposta dalla Commissione europea mette al sicuro le società dalle drammatiche ricadute. Lo afferma Alfred de Zayas, esperto indipendente delle Nazioni Unite, nel suo quarto rapporto sulla “Promozione di un ordine internazionale equo e democratico”. Il commercio, secondo de Zayas, deve essere plasmato in modo da «funzionare per i diritti umani e lo sviluppo, e non contro di essi».

Nella relazione, presentata lunedì all’Assemblea generale, l’esperto concentra l’analisi sull’impatto degli accordi sugli investimenti e chiede l’abolizione dell’ISDS. Un attacco durissimo al sistema che, prima di una sollevazione pubblica, l’Unione europea voleva inserire nel TTIP. E il rischio è tutt’ora in piedi.

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