Così Canada e UE usano il CETA per aggirare le norme sugli OGM

Le istituzioni comunitarie hanno sempre assicurato che l’accordo UE-Canada non avrebbe modificato le leggi su produzione e commercio di prodotti derivati dalle biotecnologie. Ma oggi Stop TTIP Italia è in grado di dimostrare il contrario, pubblicando l’agenda e la sintesi finale di una videoconferenza datata 28 aprile 2018. Quel giorno a Parma, Bruxelles e Ottawa tre schermi si illuminavano contemporaneamente, mettendo in comunicazione funzionari dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), della Commissione europea e del Governo canadese. All’ordine del giorno lo scambio di informazioni su questioni tecniche e regolamentari nell’ambito del commercio bilaterale di prodotti geneticamente modificati.

Il CETA incoraggia l’apertura di negoziati su questi temi, andando ben oltre lo scambio di informazioni: le parti contraenti devono infatti «promuovere processi di approvazione per prodotti biotecnologici efficaci» e cooperare «al fine di ridurre al minimo gli impatti commerciali negativi di pratiche normative relative ai prodotti biotecnologici». In sostanza, andare verso uno smantellamento delle normative che tutelano i consumatori europei. E c’è un iperattivismo sul tema, dal momento che il trattato è in applicazione provvisoria dal settembre 2017 e il dialogo UE-Canada sull’accesso al mercato degli OGM è già arrivato al suo decimo appuntamento.

Non per niente il Canada è molto determinato, come risulta dalla sintesi dell’incontro, nel chiedere all’Unione europea di snellire il processo di valutazione del rischio. Il Governo, inoltre, si dice preoccupato per il sistema di autorizzazione comunitario, che fornisce licenze decennali al termine delle quali le imprese devono presentare richiesta di rinnovo. Troppa burocrazia, troppo tempo perso per i funzionari di Ottawa. La Commissione acconsente a venire incontro ai partner, rendendosi disponibile a discutere ulteriormente l’approccio canadese alle biotecnologie.

In Canada, la coltivazione di OGM è autorizzata dal 1995. Nel luglio 2017, inoltre, il paese è stato il primo al mondo a commercializzare salmone transgenico. L’intento di portarlo anche in Europa non è affatto escluso, tant’è che Bruxelles si è informata su come sia possibile garantire la tracciabilità delle importazioni da un paese che non prevede l’etichettatura degli OGM. La risposta è stata molto semplice: rivolgetevi ai produttori.

Con il CETA sarà molto difficile per l’Ue conservare il suo approccio di tutela del consumatore che oggi, nonostante i ripetuti attacchi, si basa ancora sul principio di precauzione. Nel caso di prodotti OGM, anche trasformati, l’Unione richiede un’etichettatura esplicita oltre la contaminazione accidentale dello 0,9%. Armonizzare il nostro sistema di regole con quello di un paese che non ha meccanismi di tracciabilità del cibo transgenico equivale a fare a pezzi una normativa che tutto il mondo ci invidia.

Lo stesso timore era già stato espresso lo scorso anno da un gruppo di esperti incaricati dal governo francese di valutare la sostenibilità del patto Ue-Canada: nella loro relazione, il team sottolineava la necessità di «rimanere vigili rispetto al rischio di pressione che potrebbe essere esercitato attraverso i vari comitati di cooperazione istituiti da CETA». Già nel 2014, infatti, una relazione presentata dal Comitato permanente sull’agricoltura e l’agroalimentare alla Camera dei Comuni canadese,  sosteneva che «uno degli aspetti più promettenti dell’accordo è il rafforzamento di un gruppo di lavoro che affronterà questioni relative alla biotecnologia, per garantire che non rechino pregiudizio agli scambi». Inoltre, il Canada è promotore della Global Low Level Presence Initiative, una piattaforma composta da 15 paesi che spinge per alzare le soglie della contaminazione accidentale entro le quali si può evitare l’etichettatura dei prodotti contenenti OGM.

L’Europa, tuttavia, anche a dispetto delle malcelate volontà della Commissione europea, per ora va in direzione opposta. Ne è un esempio la sentenza del 25 luglio scorso, con cui la Corte di Giustizia dell’Ue ha dichiarato che anche gli organismi ottenuti dalle biotecnologie di ultima generazione devono sottostare alla direttiva sugli OGM. Ma questi nuovi prodotti del biotech sono ancora più difficili da tracciare, e in Nord America si è già deciso che saranno esentati dall’etichettatura. Decine di Governi, fra cui quello italiano, spingevano per la deregolamentazione dei nuovi OGM, sostenendo la sostanziale equivalenza con gli incroci praticati nei secoli dagli agricoltori. Un paragone fuori luogo, come dimostra la sentenza della Corte di Giustizia, criticata non a caso dalla Bayer (da poco fusa con Monsanto) e da altri colossi dell’agribusiness.

Purtroppo, ben prima della sentenza della Corte, istituzioni e imprese avevano cominciato a muoversi, forse perché speravano in un verdetto positivo. Il nostro Ministero dell’Agricoltura ha stanziato 8 milioni di euro a vantaggio del CREA per portare avanti la ricerca su queste nuove biotecnologie. L’intento è, naturalmente, di vederne lo sviluppo. Allo stesso tempo, grandi gruppi industriali fra cui Dow e Du Pont, da sempre attivi nel settore della manipolazione genetica, stanno preparandosi a produrre fuori dall’Unione europea grano, mais, colza, mele e patate ottenute con le tecniche “OGM 2.0”. Il problema, dunque, si sposta ancora una volta sul commercio: senza etichettatura, sarà quasi impossibile distinguere le importazioni di prodotti biotech da quelle di prodotti non modificati in laboratorio. Anche per questo l’Italia deve esercitare al più presto il suo potere di veto e bocciare la ratifica del CETA, un accordo che mette in serio pericolo tutta l’architettura normativa del nostro continente, esponendo cittadini e consumatori a rischi inaccettabili.

 

Francesco Panié

Campagna Stop TTIP Italia

Pubblicato il 30 luglio 2018, in Blog con tag , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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