Contro la nuova Nato commerciale

di Francesco Panié, rinnovabili.it

L’attacco ai servizi pubblici, i risvolti ambientali e sociali, la creazione di un fronte di resistenza. Sono gli argomenti discussi a Roma il 12-13 aprile nel seminario internazionale sul TTIP, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti. L’incontro, promosso dalla fondazione Rosa Luxemburg in collaborazione con la rete stop TTIP e l’associazione Altramente, ha visto la partecipazione di associazioni, movimenti, attivisti europei e statunitensi, in una due giorni di confronto utile a fare il punto sull’opposizione al negoziato che USA e Ue stanno portando avanti senza clamore dal 2013.

Durante il seminario è stata analizzata la struttura del TTIP e le sue ricadute sulla società italiana ed europea. Una introduzione di Jonh Hilary, direttore di War on want (organizzazione londinese contro la povertà), ha permesso di mettere a fuoco il quadro generale di un Trattato che ha come primo obiettivo l’apertura del mercato dei beni comuni. «Salute, acqua, educazione saranno inclusi nel negoziato – ha spiegato Hilary –  La Ue avrà accesso ai contratti governativi statunitensi, e viceversa». L’Italia da questo punto di vista è particolarmente interessata, visto che da poco i cittadini hanno dovuto votare un referendum per evitare la privatizzazione dei servizi idrici. Loscopo del TTIP è rimuovere le barriere tariffarie e – soprattutto – non tariffarie fra USA e Ue, con la scusa di armonizzare il sistema di regole per facilitare lo scambio commerciale.Uno scambio che all’Europa farebbe più male che bene, dato che qui vige un sistema di regole piuttosto restrittivo in tema – ad esempio – di cosmetica, ogm, fratturazione idraulica e pesticidi. Ambiente e salute sono sotto attacco, per non dire dei diritti.

«In America il 90% della carne bovina proviene da allevamenti in cui le bestie sono nutrite con ormoni della crescita e antibiotici», ha detto Debbie Barker del Centre for Food Society, che ha poi rimarcato come il 70% dei cadaveri di pollo che finiscono sul bancone del supermercato siano abitualmente lavati nel cloro. Il punto è che costano 3 dollari l’uno, cifra alla portata di (quasi) tutti, specialmente i meno abbienti.

Altro corno della questione è l’affare energetico: lo shale gas e il petrolio statunitensi potranno veleggiare alla volta delle colonne d’Ercole se il Trattato entrasse in vigore. La politica energetica dell’Ue sembra prendere in considerazione nuove strategie, in modo ancora più deciso dopo la crisi ucraina. Le tecniche di fracking e le trivellazioni potrebbero divenire la prassi sul suolo europeo. Lo ha dimostrato Alberto Zoratti, presidente di Fairwatch, con poche semplici domande sul caso italiano: «Quali ricadute potrebbe avere l’accordo di partenariato sulle estrazioni offshore in Basilicata? E sulla normativa che le vieta prima di 12 miglia nautiche dalla costa?». Dato che l’obiettivo del TTIP è abbattere le norme più restrittive in materia di investimenti, questi interrogativi suggeriscono già la risposta. Stesso discorso per quanto riguarda la questione ambientale: sostanze chimiche proibite in Ue potrebbero entrarvi dalla porta principale, così come cibi transgenici e carne di animali “dopati”.

«Verrebbe messo in crisi il principio di precauzione che l’Europa si è data con Maastricht – ha aggiunto Zoratti – Gli Stati Uniti infatti non lo contemplano, lo considerano antiscientifico».

Tuttavia, la politica nazionale e continentale, almeno nei suoi vertici, è unita nello spingere l’accordo. Monica di Sisto (Fairwatch) ha riportato le posizioni del commissario europeo all’Industria, Antonio Tajani che nel suo endorsement al partenariato sostiene addirittura la necessità di «un grande accordo anche con Canada e Messico».

La vice presidente di Fairwatch ha poi mostrato uno studio dell’agenzia di ricerca Prometeia, che indaga gli effetti dell’accordo sul Pil europeo. Questi garantirebbero un misero +0,5% dopo 3 anni, a vantaggio soprattutto delle imprese esportatrici.

«In Italia le prime dieci detengono il 72% del volume delle esportazioni, perciò non ci si spiega potrebbero guadagnarci le realtà minori. I dati dello studio che riguardano il nostro Paese mostrano che il TTIP frutterebbe 5,6 miliardi di euro e 30 mila posti di lavoro, ma solo nel 2027. I settori di carta, legname, chimica farmaceutica, andrebbero incontro a forti perdite, con il rischio di perdere un pezzo importante della biodiversità industriale italiana».

Anche la politica nazionale tuttavia è favorevole all’accordo bilaterale con gli USA. Il viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda sostiene che non ci siano rischi per i servizi pubblici inseriti nei trattati bilaterali.

In realtà, il punto nodale del TTIP è proprio questo, come ha sottolineato Marco Bersani, coordinatore nazionale di Attac Italia: «La massa di denaro riversata sui mercati finanziari ha bisogno di nuovi asset in cui essere investita. Dopo aver fatto terra bruciata in tutti i settori, non resta che aggredire i beni comuni». Lo scopo delle corporations che spingono per l’accordo – ha spiegato Bersani – è creare un telaio sovranazionale che rende le politiche locali mere attuazioni di direttive. La politica, quella che va sotto il significato inglese di politics (cioè confronto/scontro di idee nella sfera pubblica) perderebbe ogni valore. «Si tratta di un tentativo di comprimere la sovranità dei governi centrali e degli enti locali. Questi ultimi, in particolare, perderanno totalmente la loro funzione pubblica, diventando meri facilitatori dell’espansione delle multinazionali».

Queste ultime si troveranno sempre con il coltello dalla parte del manico, poiché il TTIP gli fornisce un potente inibitore di politiche restrittive: l’ISDS (Investment-State Dispute Settlement). Uno strumento legislativo che permette alle imprese di citare in giudizio lo Stato che ne mina il profitto – anche ipotetico – attraverso leggi cautelative. Il tribunale deputato a risolvere la controversia è un organo sovranazionale costruito ad hoc, come ha descritto Antonio Tricarico, responsabile del programma Nuova Finanza Pubblica dell’associazione Re:Common: «A gestire i casi è un pool di circa 300 avvocati, quasi tutti a libro paga di quattro grosse aziende, una sorta di multinazionali della legge. È un circolo ristretto di persone in pesante conflitto di interesse che guadagna milioni di dollari con le cause internazionali».

I tribunali all’interno dei quali operano non devono sottostare al controllo di terzi, ed è facile pensare – i dati non mancano – che il loro successo (anche economico) dipenda dal numero di cause intentate dai privati agli Stati. E quale modo migliore per invogliare le aziende a citare in giudizio il potere pubblico, se non garantendogli una buona probabilità di spuntarla? Simili processi, inoltre, non consentono nemmeno una sentenza di appello, e i tribunali possono impiegare arbitri che lavorano anche per le aziende che sono parte in udienza. Le cifre dicono che, nella maggioranza dei casi, il giudice dà ragione (del tutto o in parte) alle corporations, con conseguente esborso di denaro da parte dei contribuenti costretti a pagare la multa. E quando non perdono soldi, cedono diritti.

«Con queste premesse il TTIP sembra il progetto di una NATO economica offensiva. Se la WTO è stata il mercato globale 1.0, con il Trattato transatlantico si cerca di costruire il 2.0». È come se l’investitore privato assurgesse al rango di Stato, e cioè del pubblico, in un travaso di potere a favore del capitale e a discapito di cittadini, beni comuni, ambiente.

Il seminario ha registrato l’accordo dei partecipanti sulla necessità di una risposta dal basso, una mobilitazione per riaffermare diritti che rischiano di venire cancellati entro quest’anno. Lydia Fernanda Forero, del Transnational Institute, ha tracciato i contorni della protesta contro il TTIP a livello internazionale. Forti iniziative sono state avviate in Germania, con una raccolta di firme, cortei e iniziative sindacali. Perfino il governo si è opposto al meccanismo dell’ISDS, chiedendo di lasciarlo fuori dal Trattato. «I movimenti devono trovare un terreno comune per avviare un dialogo e costruire un’opposizione forte – ha auspicato Forero – Servono iniziative europee oltre a quelle nazionali».

Pubblicato il 29 aprile 2014 su Blog. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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